di J.C. Chandor

U.S.A. 2011 -105’-

con: Kevin Spacey,  Paul Bettany, Jeremy Irons, Zachary Quinto

Ambientato nel mondo dell’alta finanza, protagonisti sono gli uomini chiave di una  grande banca di investimenti durante le     drammatiche 24 ore che precedono la crisi    finanziaria del 2008. Le decisioni finanziarie      e morali in gioco sconvolgeranno la vita delle persone coinvolte spingendole sull’orlo della crisi.

Guarda il trailer: Margin Call Trailers FilmUP.com

Solo SABATO dopo il film forum con il Prof. Vladimiro Giacchè (Economista, partner di Sator e membro del Consiglio del Centro Europa Ricerche)

Nato a La Spezia nel 1963. Ha svolto gli studi universitari a Pisa e Bochum (Repubblica Federale Tedesca). Si è laureato e ha conseguito il dottorato di ricerca in filosofia con il massimo dei voti presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha pubblicato numerosi volumi e saggi di argomento economico e filosofico, fra i quali Finalità e soggettività. Forme del finalismo nella Scienza della logica di Hegel (CNR 1990), La filosofia. Storia e testi (con G. Tognini, La Nuova Italia 1996) e Storia del Mediocredito Centrale (con P. Peluffo, Laterza 1997), Escalation. Anatomia della guerra infinita (con A. Burgio e M. Dinucci, DeriveApprodi 2005), La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea (DeriveApprodi 2008, 2a ed. 2011), Titanic Europa. La crisi che non ci hanno raccontato (Aliberti 2012) e Il capitalismo e la crisi (DeriveApprodi 2009, rist. 2010).   I suoi articoli sono ospitati su riviste nazionali ed internazionali.

Le recensioni scelte da Gulliver per voi:

Da: Onda cinema

di Paolo D’Alessandro

Se vent’anni fa “Wall Street” di Oliver Stone aveva dipinto l’affresco già scrostato degli spavaldi anni Ottanta statunitensi, “Margin Call” di J.C. Chandor cerca una prospettiva diversa, più spietata e apatica, dell’impenetrabile mondo della finanza, centrando il bersaglio sulle origini della crisi finanziaria attuale. Chandor mette a fuoco la claustrofobia di un piccolo, enorme mondo di potere senza scampo: le eccentricità da rockstar di Gekko ed eredi vari sono spazzate all’angolo, è la completa dissoluzione del tessuto umano a reggere il gioco.

Peter Sullivan (Zachary Quinto), un giovane analista presso un importante istituto finanziario (“liberamente” ispirato a Lehman Brothers), assiste impotente al licenziamento del proprio capo Eric Dale (Stanley Tucci), causa tagli al personale. Questo fa in tempo a passargli sottobanco un file su un progetto a cui stava lavorando: Sullivan scopre che la banca ha fatto affidamento su una formula per calcolare il rischio di investimento completamente inaffidabile, con la conseguenza che buona parte dei titoli in possesso si sono rivelati “tossici”. I vertici della banca decidono per una rapida svendita di questi titoli, a costo di distruggere l’affidabilità dell’azienda, oltre che numerosi posti di lavoro. Il giorno dopo, svenduti i titoli e salvate le poltrone da salvare, il diffondersi dei titoli tossici innesca la più grande crisi economica della storia.

Il destino del mondo deciso in una manciata di metri quadri. Persino le luci di Manhattan sembrano distanti, sfocate oltre gli uffici semivuoti e le sale riunioni stipate. C’è il mondo e chi lo sta affondando per tenersi a galla. “Margin Call” non scende a compromessi: la sua forza sta proprio nel non concedersi alcun didascalismo improbabile, alcuna condanna o assoluzione. La tensione si sedimenta attorno a un MacGuffin incomprensibile fatto di titoli, speculazioni, coefficienti, proiezioni, margin call, nomi che perdono importanza davanti all’innesco di una decadenza che non si misura solo in dollari, ma nell’incapacità di sporgersi “oltre la balaustra”, citando uno dei protagonisti.
Sono mostri, crudeli sadici coloro che ci hanno portato a questo punto? Probabilmente no, probabilmente è la macchina stessa ad aver ridotto tutto ai minimi termini, trasformando i sogni in denaro (si veda Peter Sullivan/Zachary Quinto), gli idealismi in contratti (il caso di Sam Rogers/Kevin Spacey). La svendita, l’uccisione definitiva della fiducia, è l’ultima clausola del patto col diavolo.

Manca poco a poco l’aria, guardando “Margin Call”: la fotografia spigolosa e cupa (Frank De Marco) ritaglia il volto corale della caduta dell’Impero di Wall Street in una luce perennemente sonnambula, a qualsiasi ora. In primo piano un cast eccezionale, capitanato dalla figura ambigua di Kevin Spacey, con Paul Bettany (l’ignavo dandy Will Emerson) e uno spietato Jeremy Irons (che interpreta il Ceo John Tuld), oltre ai già citati Zachary Quinto e Stanley Tucci, gregari di una narrazione difficile perché sottile, pregna di una suspense impalpabile.

J.C. Chandor, nonostante il curriculum davvero esiguo (alle spalle solo un lungometraggio, “Despacito”, del 2004), brilla subito come una delle promesse del cinema indipendente americano, grazie al più autentico film sull’alta finanza degli ultimi anni che, nella sua sconvolgente sobrietà, si trasforma nel testamento più doloroso sul nostro presente.