DATA USCITA: 29 dicembre 2016
GENERE: DrammaticoCommedia
ANNO: 2016
REGIA: Jim Jarmusch
ATTORI: Adam DriverGolshifteh Farahani
SCENEGGIATURA: Jim Jarmusch
FOTOGRAFIA: Frederick Elmes
MONTAGGIO: Affonso Gonçalves
MUSICHE: Sqürl
PRODUZIONE: Amazon Studios, K5 Film.
DISTRIBUZIONE: CINEMA di Valerio De Paolis.
PAESE: USA
DURATA: 117 Min

Paterson guida l’autobus nell’omonima città di Paterson, nel New Jersey. Ogni giorno, segue la solita semplice routine: fa il solito percorso con l’autobus, osserva la città che vede scorrere all’esterno del parabrezza e ascolta scampoli di conversazioni che hanno luogo intorno a lui. Paterson scrive poesie su un taccuino, porta a spasso il cane, si ferma in un bar per bere sempre e solo una birra e torna a casa dalla moglie Laura. L’universo di Laura, invece, cambia in continuazione. Nella sua vita, quasi ogni giorno si fanno strada nuove speranze, ciascuna delle quali si trasforma in un nuovo progetto o fonte d’ispirazione. Paterson ama Laura e lei corrisponde il suo amore. Lui appoggia le ambizioni di sua moglie e lei incoraggia l’inclinazione del marito alla poesia. Il film osserva sommessamente i successi e le sconfitte della vita di tutti i giorni, oltre alla poesia che emerge da ogni piccolo dettaglio.

Che Jim Jarmusch fosse un grande regista con lo spirito e il look di un rocker e l’animo di un poeta, lo sapevamo già da tempo. E che in Paterson la poesia sia tirata in ballo in maniera esplicita, non è né un’inutile sottolineatura né dettaglio fondante: è solo una delle tante, piccole, importantissime, esiziali tessere di un mosaico splendido.
Uno dei mattoncini di un film-mondo che è tanto più universale quanto più particolare, tanto più collettivo quanto più singolare.

Non a caso il mondo di Paterson - cioè il mondo del film di Jarmush, quello dell’omonima cittadina del New Jersey teatro delle vicende, dove abita un protagonista che si chiama anche lui allo stesso modo, autista di autobus legato a doppio filo alla sua città a alla sua storia: e a questo punto che il suo interprete faccia di cognome Driver è più che una semplice coincidenza - è un mondo di contrasti che trovano sempre una sintesi.
Ci sono le coppie unite da un grande amore, e quelle che non potranno mai formarsi per la mancanza dello stesso; ci sono i silenzi di Paterson e le parole in libertà della sua fidanzata Laura; ci sono le routine più regolari e ansiogene, e gli imprevisti più imprevedibili e bizzarri; ci sono il bianco e il nero (l’ossessione formale di Laura), e ci sono le coppie di gemelli che il personaggio di Driver incontra di continuo lungo il suo cammino. Ci sono, quindi, gli opposti estremi, e l’identità totale e fraterna, l’intero spettro di una vita e di un mondo.
Paterson è il luogo che tutto comprende, la città dove, attraverso la sua storia ricordata e conservata da baristi e cittadini, collassa l’identità di tutta una nazione e di tutta una cultura.

La placida implosione di tutti questi elementi, come dello stile di Jarmusch, e di un personaggio tutto ripiegato nella sua interiorità, nel quaderno segreto dei suoi poemi, nei desideri e le pulsioni che evidentemente mantiene sotto stretto controllo, non stanno però a significare pacificazione, spianamento delle tensioni e dei conflitti. Che difatti ribollono sommessamente sotto la superficie, arrivando a intaccarne il tranquillo scorrere: senza terremoti, senza rivoluzioni, ma con quei piccoli disallineamenti che sono il colore e il sangue della vita.
Nonostante la regolare linearità delle giornate di Paterson – e qui mi riferisco al personaggio – , nonostante la sua tranquillità, quel modo morbido e rilassato di scorrere lungo le sue giornate e la sua vita, sotto cova sempre qualcosa che assomiglia non tanto all’irrequietudine, quanto al calore tranquillo della curiosità, e al desiderio di una ricerca che è di conoscenza (di sé, del mondo) e di espressione. Compresso nella sua routine, il personaggio di Driver cerca di scrivere poemi per poter descrivere e capire la sua vita, le sue direzioni, i suoi sentimenti.
Per dare ulteriore ordine alle cose.

Ma il mondo non è ordinato: per fortuna, non lo è. Sono i suoi piccoli disordini, a dargli senso, i piccoli imprevisti come un bus che si rompe mentre è in servizio, l’incontro casuale con un rapper solitario o una bambina che scrive poesie, le irregolarità di una cassetta della posta che non ne vuole sapere di star dritta, o di un cane che distrugge il tuo prezioso quaderno segreto. E in fondo è disordine anche il contrasto tra bianco e nero, o l’eccezione genetica della gemellarità.
È così, solo così, che Paterson trova il suo equilibrio, capendo che destinazione ci si arriva non tramite la routine di una linea retta, ma tramite le impercettibili deviazioni di un’incontro casuale, o di un orario sballato di pochi minuti.
Ci vuole un pizzico d’anarchia (l’anarchia del Gaetano Bresci citato dalla stessa coppia d’interpreti di Moonrise Kingdom, e per Paterson realmente passato), per trovare l’equilibrio; di disordine per dare ordine.
E lo sguardo migliore sulle cose è sempre quello un po’ disassato che ci fornisce magari uno che viene dall’altra parte del mondo, e che ci dimostra quasi senza parole, con solo un “Ah ah” di commento, come sotto a quello che consideriamo normale e ordinario ci può essere la forza potente e irregolare dell’arte. Che è vita, che è mondo.
Il mondo di Paterson, città universale sommessamente borgesiana dove si trova il bar più bello e invidiabile che abbiate mai visto al cinema.