di Gabriele Salvatores

Italia 2011 -110’-

con: John Malkovich, Peter Stormare, Eleanor

Tomlinson, Giedrius Nagys, Andrius Paulavicius, Donatas Simukauskas, Arnas Fedaravicius, Riccardo Zinna

 

 

Nel sud della Russia, in una città divenuta una specie di ghetto per criminali di varie etnie, due bambini di 10 anni, Kolima e Gagarin, crescono insieme, amici per la pelle. L’ educazione che viene impartita è piuttosto particolare: il furto, la rapina, l’ uso delle armi. Il loro clan ha delle regole precise, una specie di codice d’ onore, a volte persino condivisibile, che non va tradito per nessun motivo. Ma il tempo passa, i due ragazzi crescono mentre il mondo intorno a loro cambia radicalmente… E quando hai vent’ anni e il mondo ti si spalanca davanti, hai voglia di prendertelo. E quando hai vent’ anni, rispettare le regole non è esattamente il tuo primo pensiero. Ma, come dice nonno Kuzja, il capo del clan criminale siberiano: “È folle volere troppo. Un uomo non può possedere più di quello che il suo cuore può amare!”

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La recensione scelta da Gulliver:

Da il settimanale l’ESPRESSO  articolo di Roberto Escobar

Un uomo non può possedere più di quello che il suo cuore può amare: quando nonno Kuzja (John Malkovich) gli dice queste parole sagge, Kolyma (Arnas Sliesoraitis) ha dieci anni. Dieci anni dopo, nel 1998, Kolyma (Arnas Fedaravicius) porta la divisa dell’esercito russo e combatte in Cecenia. Nel frattempo tutto è cambiato. Crollato l’impero sovietico, anche nella sua comunità urca – siberiani dediti al crimine, a suo tempo confinati da Stalin nel Sud della Russia – qualcuno ha cominciato a pensare che non sia il cuore la misura giusta dei desideri, e che anzi niente ci sia di giusto. Così è stato anche per Gagarin (Vilius Tumalavicius), l’amico dell’infanzia e della prima giovinezza che, per possedere oltre ogni misura, ha abbandonato la comunità e l’ha tradita. Per dirla ancora con le parole di nonno Kuzja, ha fatto come un giovane lupo che si fosse venduto agli uomini, diventando un loro cane. Ora Kolyma è lì, tra le montagne cecene, per ritrovarlo, e anche perché si ritrovi. Ispirandosi a un libro del siberiano Nicolai Lilin (scritto in italiano e pubblicato da Einaudi), Gabriele Salvatores e i cosceneggiatori Stefano Rulli e Sandro Petraglia raccontano di un gruppo di uomini che da sé si chiamano «criminali onesti». In guerra contro ogni forma di potere e di sfruttamento, gli urca hanno una morale aristocratica, fondata sul valore personale e sulla tradizione. Uccidono, ma sempre rispettando quella che a loro pare sia la vita: prima di tutto la vita dei deboli, i «voluti da Dio», e poi la vita dei liberi e dei forti. Insomma, la vita dei lupi, che mai accetterebbero di farsi cani. L’universo di questi criminali onesti è chiuso. La loro è un’utopia fragile, che lo scorrere del tempo trascina via, proprio come il fiume lungo cui vivono nella sua piena travolge oggetti, amori, amicizie, vite intere. Nonno Kuzja non può farci niente. E niente può farci Ink (Peter Stormare), che con i tatuaggi scrive sui corpi le vite degli uomini, illudendosi di dar loro identità e storia. La Storia, quella con la maiuscola, è ben più potente della loro onestà, e la sua dismisura eccede ogni misura dei loro cuori. Che cosa mai resterà in quello di Kolyma, dopo aver trovato Gagarin, se non il desiderio o la speranza che un altro mondo sia possibile? Che cosa potrà tentare, il giovane lupo, se non di scendere a Sud, sempre più a Sud e verso l’Occidente, cercando un altro futuro? Ma è ben difficile che si incontrino tempi e luoghi in cui i lupi non desiderino farsi cani.