di  Daniele Segre

 

Italia 2008 -88’-

 

 

Interpreti:  Lavoratori  e familiari di  lavoratori morti nel  settore costruzioni in Italia e tre attori, 2 italiani e uno senegalese: Ciro Giustiniani, Luca Rubagotti, Seck Bamba

 

Morire di lavoro è un film documentario che indaga la realtà del settore delle costruzioni in Italia.

Protagonisti i lavoratori e i familiari di lavoratori morti sul lavoro. La trama narrativa si sviluppa attraverso i racconti e le testimonianze dei protagonisti, ripresi in  primo piano, che guardano in macchina.

Altro elemento espressivo sono le voci di tre attori, due italiani e un senegalese, che interpretano ciascuno il ruolo di un lavoratore morto in cantiere. Nel film si parla di incidenti mortali nei cantieri edili, dell’orgoglio del lavoro, di come si è appreso il mestiere, della sicurezza e della sua mancanza, di lavoro nero, di caporalato.

Vai alla Foto Gallery

Ospiti in sala:

il regista Daniele Segre

e  il

critico cinematografico

Tullio Masoni

 

Daniele Segre (Alessandria, 1952) è autore di “cinema della realtà”, di film di finzione e di spettacoli teatrali.

Le sue opere sono spesso trasmesse dalle reti pubbliche e da molti anni presentate alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e in diversi festival nazionali e internazionali – tra cui la Berlinale, International Film Festival Rotterdam, Cinéma du Réel e Filmmaker – ricevendo vari riconoscimenti tra cui il premio Giuliani De Negri alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, il Tulipano d’oro al Festival Internazionale di Istanbul, il premio CICAE al Festival del
Cinema Italiano di Annecy, il premio Filmmakers, il premio NICE a New York.

Esordisce come fotografo della realtà a Torino e fin dalla metà degli anni Settanta realizza film e video. I suoi primi lavori si focalizzano su problemi delle realtà giovanili disagiate (“Perché droga”, 1976; “Il potere dev’essere bianconero”, 1978) e sulla dignità e umanità di vite difficili (“Vite di ballatoio”, 1984); nel 1980 pubblica anche il libro fotografico “Ragazzi di stadio” (Mazzotta, Milano). Fonda nel 1981 la società di produzione “I Cammelli” e nel 1989 l’omonima “Scuola video di documentazione sociale”, col sostegno di Unione Europea e Ministero del Lavoro, che avvia decine di giovani alla delicata e difficile attività di professionista audiovisivo nel sociale.

Nel 1983 realizza il lungometraggio “Testadura”, presentato alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, finzione sulla realtà di un microcosmo giovanile fatto di scelte ostinate, quotidianità faticose e complicati rapporti interpersonali; del 1992 il secondo lungometraggio, “Manila Paloma Blanca”, in cui indaga l’universo esistenziale di un attore emarginato utilizzando anche inserti video da “Tempo di riposo” (1991), interpretati entrambi dall’attore Carlo Colnaghi.

Fra i suoi film documentari, quelli sui minatori del Sulcis (“Dinamite”, 1994), sui sieropositivi e malati di AIDS (“Come prima, più di prima, t’amerò”, 1995), sull’affettività nei giovani colpiti da sindrome di Down (“A proposito di sentimenti”, 1999), sulla chiusura di una fabbrica in Sardegna (“Asuba de su serbatoiu”, 2001) e sui problemi dei malati di Alzheimer e delle loro famiglie (“Tempo vero”, 2001).

Nel 1995 debutta nella regia teatrale con “Week-end” di Annibale Ruccello. Opere come “Non ti scordar di me” (1995) e “Paréven furmìghi” (1997) sono incentrate sul fascino del set e dell’immaginario cinematografico, sulla costruzione (reale) di un cinema e la ricostruzione della realtà che il cinema consente. Nel 2002 realizza il lungometraggio “Vecchie”, con Maria Grazia Grassini e Barbara Valmorin, che diviene uno spettacolo teatrale “Vecchie. Vacanze al mare”, prodotto da Associazione Teatrale Pistoiese-Teatro del Tempo Presente, e va in scena al Piccolo Eliseo di Roma nel gennaio 2003 e in altri teatri italiani fino al 2006.

Dal 2002 al 2005 codirige il Bellaria Film Festival con Antonio Costa e Morando Morandini. Nel 2003 realizza la serie di sei film documentari “Volti – Viaggio nel futuro d’Italia”, mandata in onda da RAI TRE, produttrice della serie, a partire dal gennaio 2004. Del giugno 2004 è il quarto lungometraggio Mitraglia e il Verme, con Antonello Fassari e Stefano Corsi, che nel 2006 riceve il Premio Qualità da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Nel 2005 realizza in alta definizione un video sulla collezione di Arte Moderna e Contemporanea della Fondazione CRT di Torino, progetto che si sviluppa nel 2006 con la messa in opera di tre video, rispettivamente sulla collezione della Fondazione CRT, sul Museo d’Arte Contemporanea del Castello di Rivoli e sulla Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino.

Nel 2006 realizza alla Cavallerizza di Torino la video installazione “Tappati la bocca” per il Teatro Stabile di Torino, con gli allievi della Scuola del Teatro Stabile diretta da Mauro Avogadro. Nel 2006, in collaborazione con l’IRRE Marche e l’Assessorato Formazione e Lavoro della Provincia di Macerata, attiva a Recanati e Macerata il laboratorio video “L’amorosa visione”, con studenti delle scuole medie superiori, dell’accademia e dell’università. Il laboratorio, terminato nel marzo 2007, produce un film L’amorosa visione – percorsi giovani di incontro e di abbandono e successivamente l’edizione del libro “Un’amorosa visione – il cinema della realtà fatto da ragazze e ragazzi” a cura di Angela Gregorini.

Nel dicembre 2006 cura la regia del documentario “Conversazione a Porto” realizzato a Porto (Portogallo) sul regista Manoel de Oliveira e la scrittrice Agustina Bessa Luis e i contenuti filmati dello spettacolo “Dossier Ifigenia” per la regia di Elie Malka, produzione Fondazione Teatro Stabile di Torino, in scena nel novembre 2007 al Teatro Astra di Torino.

Nel giugno 2007 inizia le riprese del film documentario “Morire di lavoro”, sugli incidenti nel mondo dell’edilizia in Italia, prodotto da I Cammelli con la collaborazione della FILLEA CGIL e il sostegno del Piemonte Doc Film Fund. Nel febbraio 2008 il film viene presentato in anteprima nazionale alla Camera dei Deputati a Roma e nel marzo 2008 al Parlamento Europeo di Strasburgo. Da allora “Morire di lavoro” intraprende un lungo tour di proiezioni e presentazioni in tutta Italia riscuotendo grande attenzione da giornali, televisioni e radio nazionali.

Nel 2010 realizza tre film documentari: il ritratto della fotografa genovese Lisetta Carmi (“Lisetta Carmi, un’anima in cammino” presentato in anteprima alle Giornate degli Autori-Venice Days 2010 a Venezia), quello dell’editore pisano Luciano Lischi (“Luciano Lischi, editore” presentato in anteprima al Cinema Lumiére di Pisa) e quello del critico cinematografico Morando Morandini (“Je m’appelle Morando. Alfabeto Morandini” presentato in anteprima a Invideo 2010 a Milano).

Daniele Segre è docente di regia al Centro Sperimentale di Cinematografia-Scuola Nazionale di Cinema di Roma (“Cinema e realtà”) e all’Università di Pisa (“Regia cinematografica”); all’interno del corso 2009 al C.S.C.-S.N.C. è stato realizzato il video “3 Prototipi” sull’opera di Gianni Toti e “La Casa Totiana” di Roma. Dal 2002 Segre insegna “Interpretazione cinematografica” alla Scuola per attori del Teatro Stabile di Torino, con cui realizza la videoinstallazione “Tappati la bocca” e il film “Dimmi la verità” (2008).
Da giugno a dicembre 2010 ha diretto il corso di formazione professionale “Esperto di video documentazione sociale” realizzato dalla Provincia di Pisa in collaborazione con Sipario Toscana Fondazione-La Città del Teatro, in cui è stato inoltre docente in più moduli; tra luglio e agosto ha invece avuto la docenza della “Masterclass-Cinema e Realtà” del Bobbio Film Festival 2010 per la direzione di Marco Bellocchio.

 

Guarda il trailer: Morire di lavoro (trailer 2) – un film di Daniele Segre – YouTube

Le recensioni scelte da Gulliver:

Da “Sentieri Selvaggi” articolo di Sergio Sozzo

Il film di Daniele Segre è un’invocazione, un recitativo, e un atto d’accusa. Recitativo dei testimoni davanti alla mdp, su fondale nero, decisi a guardarci negli occhi e a fare il loro atto d’accusa sulle morti sul lavoro nel settore edilizio. Ma soprattutto, invocazione dei fantasmi delle vittime e dei martiri caduti, che affollano l’inquadratura venendo fuori da quello sfondo nero in ogni istante.

Giudici eletti, uomini di legge / noi che danziam nei vostri sogni ancora / siamo l’umano desolato gregge / di chi morì con il nodo alla gola.
Quanti innocenti all’orrenda agonia / votaste decidendone la sorte / e quanto giusta pensate che sia / una sentenza che decreta morte?
Uomini cui pietà non convien sempre / male accettando il destino comune, / andate, nelle sere di novembre, / a spiar delle stelle al fioco lume, / la morte e il vento, in mezzo ai camposanti, / muover le tombe e metterle vicine / come fossero tessere giganti / di un domino che non avrà mai fine.
Uomini, poiché all’ultimo minuto / non vi assalga il rimorso ormai tardivo /per non aver pietà giammai avuto/ e non diventi rantolo il respiro: / sappiate che la morte vi sorveglia/ gioir nei prati o fra i muri di calce, / come crescere il gran guarda il villano/ finché non sia maturo per la falce. Morire di Lavoro è un’invocazione, un recitativo, e un atto d’accusa. Documentario sulle assurdità delle morti sul lavoro nell’oscuro mondo dei cantieri in nero (e non solo), il film di Daniele Segre si avvale dei recitativi di vedove, sopravvissuti, parenti in lutto, “manovali” che si esprimono in dialetti distanti, in lingue diverse perché non italiane. Stagliati su sfondo nero, in primo piano, tutti questi testimoni fanno il proprio atto d’accusa, raccontano la propria storia, il proprio dolore, i propri incidenti. Ogni tanto, Segre squarcia l’ineffabilità del montaggio serrato delle voci e dei volti con improvvise aperture su vedute tipiche di paesaggi d’Italia: il Duomo di Milano, il Golfo di Napoli. In piena evidenza, le tracce dei cantieri aperti: gru, impalcature, ruspe. Fuori campo, le voci dei fantasmi: di nuovo in idiomi differenti e lontani, lettere allo spettatore declamate da virtuali vittime di travi mortali, o cadute fatali. E’ forse una debolezza ‘fiction’ questa di Segre – voler didascalicamente sottolineare l’immutabilità della situazione dal nord a sud, e spingerci verso un’empatia tanto più vera quanto più possibilmente ‘a contatto’ con la parola-carne dei martiri. Eppure, i fantasmi affollano questo film sin dall’inizio:  dietro ad ogni fondale nero, li senti quasi comparire, li vedi agitarsi, li percepisci testimoniare – tutti i morti di cui parlano le persone guardando in camera, tutti gli incidenti messi a tacere, tutte le ingiustizie dei “caporali”, tutto il sangue nascosto. I fantasmi riempiono l’inquadratura, dietro agli occhi di chi parla alla mdp, sempre deciso, mai abbattuto. E quando Segre filma i dialoghi, tra i lavoratori in riunione o in pausa-pranzo, o quell’attimo sospeso in cui mette a parlare un ragazzo che ha perso l’uso delle gambe in cantiere e la sua ragazza che tenta di dissuaderlo dal tornare a guidare l’escavatore, è come se all’improvviso gli stessi fantasmi prendessero incredibilmente corpo, mostrandosi a noi come un monito terribile, un’accusa mai doma, allo stesso modo dei corpi inflessibili ritagliati impietosamente nel bianchenero ‘sporco’ del collettivo Amanda Flor nel clamoroso e bellissimo La rieducazione, in qualche modo incentrato su tematiche simili. Rispondendo all’invito dell’obiettivo di Daniele Segre, che sin dalla prima inquadratura, appunto, continua a realizzare la sua invocazione.