regia di Giulio Manfredonia

Italia  2012 -90′-

con: Antonio Albanese, Paolo Villaggio,

Fabrizio  Bentivoglio, Nicola Rignanese

 

 

 

 

Tre storie, tre personaggi con un destino che li accomuna: la politica con la “p” minuscola. Cetto La Qualunque, il politico “disinvolto” che abbiamo imparato a conoscere, questa volta alle prese con una travolgente crisi politica e sessuale. Rodolfo Favaretto, che rincorre il sogno secessionista di un nordista estremo, Frengo Stoppato, un uomo stupefacente, in tutti i sensi, che torna dal suo buen retiro incastrato da una madre ingombrante…Un ritratto  folle ma non troppo dell’Italia di questi anni.

Guardati il trailer:Tutto Tutto Niente Niente – Trailer Ufficiale HD – Antonio Albanese – YouTube

 

Le recensioni scelte da Gulliver

Tutto tutto niente niente La satira diventa cafona

di GIAN PIETRO ZERBINI  da : La nuova Ferrara

Come dice anche il titolo, non ci sono mezze misure nelle interpretazioni di Antonio Albanese. Può fornire prove struggenti come in “Vesna va veloce” di Mazzacurati , anche se la sua vena umoristica è quella che maggiormente emerge e lo contraddistingue fin dai suoi successi televisivi a “Mai dire gol”. Ed è propria dalla sua ricca fucina di personaggi nella stagione della Gialappa’s, che Albanese fa risuscitare Frengo e per l’occasione si fa in tre riproponendo anche Cetto La Qualunque e Olfo, il tutto diretto da Giulio Manfredonia, che lascia molto campo libero all’estro di Albanese. Tre caricature, tre storie, tre mondi che convergono tutti però in un’unica direzione: dietro le sbarre prima e in Parlamento poi, in una spietata critica all’Italia dei politici, dei corrotti, degli ignoranti, dei cafoni. Nonostante ci sia la novità del secessionista Rodolfo Favarotto detto Olfo – quello che per intenderci vuole andare sotto l’Austria – c’è molta ripetitività, a cominciare dalle poco onorevoli gesta di Cetto che riprende il filo interrotto in “Qualunquemente”. Tanto di cappello alla versatilità del protagonista, ma alla lunga il film stanca più che far ridere. D’altra parte anche Verdone e Panariello hanno avuto gli stessi problemi quando hanno dovuto concentrare in un unico film la galleria dei loro personaggi. Un conto sono gli sketch televisivi, un altro la sceneggiatura di un film che pur corto come in questo caso deve tenere il ritmo come minimo per un’ora e mezza. Troppo kitsch l’ambientazione, con scene banali e poco raffinate. Nell’anno di assenza del cinepanettone, francamente ci si aspettava un salto di qualità sul piano della comicità. Più che satira sul degrado qui invece si deraglia spesso in volgarità da “soliti idioti”.

Tutto tutto niente niente
Di Boris Sollazzo – FilmTV n. 51/2012

E alla fine della proiezione sale un’amara malinconia. La stessa del Gallo Cedrone verdoniano: con chi è così avanti da raccontare il presente non ridi, quasi ti rifiuti di (ri)conoscere la verità. Quell’arrogante cialtrone di Feroci voleva cementare il Tevere, il Cetto di Albanese, si sa, sogna un ponte di “pilu” sullo Stretto. Ecco, il sequel di Qualunquemente si fa in tre, con quel politico laido, il mitico Frengo e il razzistissimo Rodolfo Favaretto, Albanese ci mostra una classe dirigente che ha un look tra il massone e il romano imperiale con un geniale Bentivoglio, sottosegretario che parla come Dell’Utri e veste e si pettina come Karl Lagerfeld. 

Il punto, però, è che per quanto gli attori siano bravi, le scene ben girate e non poche battute di livello, la pellicola paga due difetti. Uno di sua esclusiva competenza: il demagogo protoleghista è un personaggio sostanzialmente sbagliato, quasi mai efficace, lontano parente del mitico Perego. L’altro è fuori dalla responsabilità degli autori: i Fiorito e i Maruccio, le feste polveriniane e i conti di Lusi sono infinitamente più folli e indegni delle cialtronate pacchiane di questi pur ridicoli personaggi. Albanese e il suo regista Manfredonia qui pagano il fatto che, come nel primo capitolo, ciò che hanno anticipato nell’ideazione e nella scrittura diventa attuale, persino superato all’uscita del film. E si fa fatica allora a ridere del nostro squallore, si rimane quasi delusi.