Gulliver  per il quarto appuntamento  della rassegna “Cinema e Potere”  dedicato alla CENSURA il 20 aprile del 2012 aveva proposto  la proiezione del film “Il Potere” nel quale  Tretti ha analizzato il reazionario sistema  del potere. A causa di questa critica  l’autore è stato zittito da una dura censura politica che gli ha impedito di fare cinema negli anni successivi .

Ugo Brusaporco, critico cinematografico, grande estimatore e amico di Tretti, era stato invitato in quella occasione per condurre un forum sul potere e sul regista.

Gulliver per ricordare Tretti ha scelto proprio un articolo di Ugo Brusaporco apparso l’8 giugno scorso su Bresciaoggi.it

“Nell’Olimpo dei registi cinematografici l’aveva già inserito Federico Fellini, che consigliò a tutti i produttori: «Acchiappate Tretti, fategli firmare subito un contratto e lasciategli girare tutto quello che gli passa per la testa. Soprattutto non tentate di fargli riacquistare la ragione; Tretti è il matto di cui ha bisogno il cinema italiano». Augusto Tretti, cineasta, veronese, è morto. Aveva 89 anni, da tempo era malato, da troppo tempo i suoi progetti di cinema non trovavano produzione. Fino all’ultimo ci aveva provato, fino all’ultimo, dal suo eremo a Colà di Lazise, aveva sognato di girare un nuovo film. Di idee ne aveva tante, ma quella in cui era affondato, come le navi di cui voleva parlare, era La battaglia di Lissa: spiegava che era il simbolo stesso del destino naufrago italiano. Non voleva fare un Titanic, aveva l’idea di mostrare i marinai nella loro vera dimensione umana, nella sconfitta del 1866. Amico di musicisti come Bruno Maderna, Franco Donatoni e Giacomo Manzoni, che aveva sposato sua sorella Eugenia, aveva scelto di sposare le immagini del suo cinema visionario con quella musica che da Darmstad sconvolgeva l’Europa. Nei primi anni Sessanta aveva girato cortometraggi che erano piaciuti a Fernanda Pivano e al suo circolo intellettuale milanese. Nel 1955 era stato tra gli aiutoregisti di Federico Fellini per Il Bidone. Nel 1960 presenta il suo primo lungometraggio, La legge della tromba, un film troppo audace anche per la cinematografia della Dolce vita: lui non ha l’Anitona, ha la sua ottantenne balia come protagonista; non gira a Cinecittà, ma nell’entroterra del Garda. Tretti sconvolge la grammatica cinematografica, la reinventa con originalità. Scrive Franco Fortini: «Di rado il cinema italiano ha dato una verità così precisa. L’autore salta sopra le nostre teste, e sopra quelle del pubblico viziato, ritrova lo stupore delle verità elementari». Questa sua poesia gli costa undici anni di silenzio. Gli andrà peggio dopo Il potere del 1971. Un film griffithiano come impianto. Scrive Ennio Flaiano: «Un cinema didascalico su sillabario, riesce a dire per una sua forza derisoria. I volti esemplari, il modo di muoversi, la solitudine dei suoi attori riportano il cinema a un eden dimenticato». Il potere è satira feroce, che ricorda agli italiani la cretineria assassina del fascismo, la follia di un clericalismo incapace di rinunciare al potere e attacca la corruzione che già alligna nel Psi. Il risultato è la parola fine sul suo cinema. Quasi dieci anni dopo, nel 1979, riesce a girare per la Regione Lombardia il suo ultimo lungometraggio: Alcool, un film sull’alcolismo che negli eccessi mostra camionisti, alpini, uomini violenti con le donne. Ancora si fa nemici, il film trova diffusione solo nel 1985. Nello stesso anno gira il suo ultimo lavoro, Mediatori e carrozze, lo produce Ipotesi Cinema, la grande scuola di cinema veneto, presto morta, del suo amico Ermanno Olmi. Ancora una volta punta sulla critica sociale, se la prende con la speculazione edilizia, buon profeta sulla crisi. È morto nel silenzio, nessuno lo ha aiutato a Roma, nessuno lo ha aiutato a Verona.”